Guardando la lista dei quasi 500 concerti presentati, il Festival Musicale del Mediterraneo appare come un lunghissimo “spartito del mondo“, con centinaia e centinaia di musiche diverse, altrettanti strumenti, compositori, esecutori.
Sono le musiche di una “Grande Madre”, generatrice prima di tutto di emozioni, non quantificabili e non qualificabili, mutate negli anni, condivise, conservate preziosamente nella memoria del vissuto.
Tutte nascono il 4 giugno 1992.
Un battesimo con nascituro non battezzato per impedimento del protagonista.
Cheb Khaled, algerino re del “raï” delle banlieu meticce francesi, non scende neanche dal bus.
Pioggia su Genova.
Palco dell’Acquasola inagibile.
Il destino vuole che si inaugura il 5 giugno, primo concerto per Palazzo Ducale rinnovato e fu l’Echo Art Ensemble con la danza di Arbalete a segnare quello che fu il vero primo concerto di quella lista interminabile di 30 anni di Festival.
Nello spartito del mondo della “Grande Madre” si sono generati incontri, oggi possibili, ma che negli anni in cui nacquero apparivano impossibili, o quantomeno improbabili: era il 1997 quando incontrammo i Dervisci turchi che accolsero, per la prima volta nella loro storia all’interno del loro rito “Sema” del sufismo islamico, musicisti e danzatori contemporanei, inclusa la presenza di donne; fu il 1999 dove le voci palestinesi e tibetane dialogavano con le fiamme del Chant Thermique dell’Orgue a Feu; il 2000 dove 20 musicisti di tutti i continenti vennero riuniti per “The Human’s Rights; e ancora palestinesi in coro uniti agli israeliani, gli armeni con i turchi, la kora africana con l’arpa flamenco e il flamenco incrociato al kathak indiano; la danza contemporanea insieme ai taiko giapponesi di Joji Hirota; gli omaggi a Pasolini, Kurosawa, Nelson Mandela… La lista sarebbe davvero lunga.
Lunghissima.
450 concerti e 88 paesi rappresentati.
Ci furono numerosissimi arrivi esclusivi, musicisti per la prima volta usciti dai territori di appartenenza e/o per la prima volta in Italia o in Europa: come i Gnawa dal Marocco, i Pigmei Banda Linda della Repubblica Centroafricana, i Tuareg del deserto dell’Hagghar da cui poi nacquero i Tinariwen, i gitani del Rajasthan, gli Indios Meinakhu dalla profonda Amazzonia, Compay Segundo e Omara Portundo; i Masterdrummer del Burundi e del Nepal, i Dogon, Justo Pelladito da Cuba, Zumreta Ljubojevic e i Nesidu I Huda dalla Bosnia post guerra, gli Ikhwan Al Hadra dalla Tunisia, i Monaci Tibetani di Drepung, gli Aborigeni australiani White Cookatoo, gli Imani Ngoma da Zanzibar.
Dal Festival passò anche lo scomparso Francis Bebey nel 2000, il ”professore pigmeo” già conosciuto dieci anni prima al Festival Afrikana, con il gruppo Bloko, prologo afro del Festival del Mediterraneo.
La lunga lista arriva in molti angoli remoti della terra, fonti di musiche sconosciute, cercate e fruite dall’etnomusicologia e portate sul palco del Porto Antico, nelle piazze, nei musei, nei chiostri e parchi di Genova, per la conoscenza di migliaia e migliaia di spettatori.
Dal 2000 in poi tutto fu più semplice, la tecnologia accorciò i tempi e le distanze: nel 2004 Genova Capitale Europea della Cultura ci vide ideatori e direttori dello spettacolo inaugurale con la Fura dels Baus ed il Festival celebrò quell’anno speciale con un programma ricchissimo di eventi, tra cui l’incontro tra Manu Dibango e Ray Lema e il recital dedicato a Genova e Lisbona della cantante di fado Dona Rosa.
30 anni di incontri con centinaia e centinaia di musicisti, spettatori, tecnici, organizzatori, alcuni divenuti amici, maestri, collaboratori.
Per altri il Festival fu una rampa di lancio verso nuove carriere importanti (una su tutte Rokia Traorè che fece il suo primo concerto come artista d’apertura al concerto di Habib Koite), per altri la continuità di una strada già solcata da decenni, con umiltà e dedizione, peculiari a chi porta nel mondo la propria tradizione.
Dal Festival si realizzarono sogni straordinari: dall’incontro tra Joji Hirota con la famiglia Parisi (il padre Luciano, maestro e campione di karate) nacque il Kyoshindo, primo gruppo italiano di taiko, il tamburo giapponese e primi in Europa ad autocostruirsi i potenti tamburi giapponesi.
Dal Festival Stella Chiweshe, madre della Mbira music dello Zimbabwe, raccolse i primi fondi per costruire una scuola di musica nelle campagne di Harare; Ani Choying Drolma, monaca nepalese, raccolse i primi fondi per una scuola per ragazze a Kathmandu; dal festival si sono raccolti fondi per Emergency, per i bambini di Bosnia, per Amnesty International.
Nel 2004 si realizzò un altro sogno: gli strumenti raccolti da Echo Art trovarono spazio espositivo al neonato Museo delle Culture del Mondo al Castello D’Albertis, sede annuale di concerti del Festival, di laboratori, esposizioni ed incontri di formazione.
E così via, per giungere alla 30ma edizione, dove tornano coloro che hanno segnato la storia del Festival, con la loro arte ma soprattutto per esser stati prima nostri maestri, poi collaboratori e fraterni amici con cui si sono costruiti progetti, sulla scena, nella formazione ( Iat Gong nel 2004 ), negli studi di registrazione, nello studio della musicoterapia extraeuropea: da Tran Quang Hai a Friedrich Glorian, da Joji Hirota a Tapa Sudana, da Sainkho a Lois Zongo “Akutuk“, dalle cordofonie euroasiatiche alla grande reunion 3.0 della Banda di Piazza Caricamento, per giungere alle voci del canto a Tenore sardo, patrimonio immateriale dell’Unesco, alla pizzica e taranta degli Arakne e ai fratelli marocchini dei Gnawa fino all’incontro, che persiste dalla fine degli anni 80, con le coreografie di Giovanni Di Cicco e la sua nuova compagnia DEOS, per inaugurare l’edizione. Si celebrano così 3 decenni di musiche, impegno, passione, ricerca, sogni e realtà racchiuse nel Festival Musicale del Mediterraneo, verso nuove frontiere.
Grazie a tutti coloro che sono stati presenti.
In qualunque forma.
Davide Ferrari
Direttore e ideatore Festival